mercoledì, gennaio 18, 2012

Luchadoras | La morte sotto la pelle

Tempo di ritornare in vita per questo blog. E lo faccio tornando su una delle mie tipiche ossessioni: la scrittura e la rappresentazione grafica di eventi reali. Della terribile situazione di Ciudad Juárez, megalopoli messicana distesa sulla frontiera tra Stati Uniti e Messico, ne ho già parlato in un altro post dedicato a El Traspatio di Carlos Carrera, quindi rimanderei i lettori a quello per leggere le tristi statistiche, che nel tempo intercorso si saranno certamente aggravate, così come ho parlato dei motivi per cui è urgente parlare di quella storia, o meglio, di quella realtà.

Nello stesso intervento massacravo abbastanza il lavoro fatto in sceneggiatura dall'apprezzatissima Sabina Berman che falliva, nonostante i buoni propositi, nel trovare un registro di narrazione adatto. Tra i problemi vi era quello dell'eccessivo didascalismo. Il film in sé era troppo scritto e buttava via la caratteristica fondamentale che una storia del genere ha implicita.  I fatti sono orribili, un pugno nello stomaco, qualcosa di spiacevole anche solo a sentirli nominare e per questo c'è probabilmente poco da spiegare. Davvero è inutile stare lì a fare il lavoro documentaristico, perché in tale maniera si perde di vista qualsiasi narrazione, quantomeno diventa possibile integrarla oltre un certo limite. E ci volevano cuore e pancia per passare allo spettatore il dovuto, piuttosto che lo sterile didascalismo che macchinosamente diventava storia nel finale, secondo i canoni più classici del poliziesco nordamericano.

Allora molto meglio Luchadoras. Sebbene non sia un film, bensì un fumetto, e cambi quindi la forma di fruizione, il registro di narrazione scelto dall'autrice Peggy Adam risponde perfettamente alle mie richieste. Soprattutto viene fuori l'importanza capitale della scrittura fatta da donne sulle donne che spariva nel sopracitato film. Questo è un punto delicato che fatico spesso a descrivere e mediamente fallisco nel comunicare l'essenza della questione.

Purtroppo l'impressione in questi casi è che la scrittura femminile si allontani sempre troppo dall'autrice. Forse il condizionamento di un mondo profondamente maschilista fa sì che molte preferiscano adattare la loro intelligenza e produrre qualcosa che è una mediazione quel il mondo possa accettare e la realtà sostanziale dell'universo femminile. La distanza tra donna immaginata, forse sognata, e donna reale diventa allora abissale. Per questo, almeno nella mia testa, non funziona la scrittura di alcune artiste, mentre quella di altre è meravigliosa. La distinzione è netta, perché da una parte vi è qualcosa che è possibile decodificare, dall'altra qualcosa di sconosciuto. E l'ignoto di un posto in cui il raziocinio maschile non riesce a trovare alcun appiglio dopo l'iniziale stupore, non può che suscitare attrazione.

Tutto ciò funziona mirabilmente alcune volte. Un esempio lampante è Geek The Girl di Lisa Germano: disco mirabile che parla di donne, di violenza perpetrata su di esse e soprattutto della loro percezione. Senza limite, senza mediazione, senza alcun filtro. Tanto è vero che è un disco che fa paura, che fa correre più di un brivido lungo la schiena e che può far vergognare un ascoltatore maschio della propria esistenza. In tal senso radicale e per me importante nel sostanziare questo discorso che fa di premessa a Peggy Adam.

Come al solito ho preso una strada troppo lunga per arrivare al fondo della questione. Riassumo allora: Luchadoras è un ottimo fumetto edito in Italia da 001 edizioni, scritto da un'autrice francese, ma che parla di Messico in maniera mirabile. Sarei davvero curioso del sapere le leve che l'hanno spinta a scrivere la storia. Forse bisognerebbe chiederglielo per capire, ma fatto sta che la vicenda di Alma, una delle tante, che solo per un caso non è in una delle fosse in cui trovano le sue concittadine, è delineata alla perfezione. La morte che accompagna ogni giorno queste ragazze non è solo nell'iconografia, come può essere il tatuaggio sul braccio di Alma, come può essere il culto della Santa Muerte1 ormai diffuso sempre più nel paese, ma è un motivo di sottofondo, qualcosa che vive sottopelle. E vive tra queste pagine anche l'ostilità degli uomini alla libertà femminile, la loro ferinità ancestrale che esplode nei deserti, là  dove i costrutti di una società pseudo-civile non vogliono arrivare.

Peggy Adam ha capito tutto ciò chissà come, chissà perché, dalla Francia e quindi a distanza ragguardevole da dove sono accaduti i fatti. Col suo tratto scarno ed essenziale tratteggia la bellezza e l'orrore che si concentrano in quella striscia di terra che unisce le due Americhe, così come doveva essere fatto. Altrimenti non poteva essere. Brava.


1. Sul culto della Santa Muerte tornerò certamente. Devo solo capire come muovermi perché c'è davvero troppo da esaminare tra documentari e altre fonti.