domenica, novembre 28, 2010

Kjærlighetens Kjøtere | L'amore ibernato

Non avevo mai parlato di cinema scandinavo e la cosa è alquanto strana visto il mio amore per quelle terre e per quelle genti e per questo faccio una piccola deviazione per la Norvegia. Ammetto anche che debbo un po' forzarmi per scrivere qualcosa su questo film, perché si tratta di uno di quegli oggetti che lascia tante riflessioni che però vanno classificate come intime. Insomma cosa c'è di meglio di tre omaccioni bruti che si ritrovano segregati in Groenlandia a discutere dei massimi sistemi della sfera affettiva per chiudersi definitivamente in un monolitico silenzio a pensare a sé stessi. Certo messa così fa ridere alquanto, ma il film di Hans Petter Moland è tagliente, freddo e lucido nell'analisi delle contraddizioni umane quanto le lastre di ghiaccio che circondano i tre protagonisti.

A pensarci bene la cosa tradisce subito la radice letteraria dell'operazione e c'è probabilmente molto di autobiografico nella vicenda che porta il poeta Henrik Larsen (Gard B. Eidsvold) ad accettare un lavoro da trapper1 in Groenlandia per ritrovare l'ispirazione perduta. La storia prende le mosse da Larsen (1929),  libro del danese Peter Tutein, curiosa e misteriosa figura di scrittore vissuto ad inizi novecento e morto giovanissimo (47 anni) e che visse realmente in Groenlandia come i protagonisti del film. Autore anche di un seguito Larsen vender hjem e attivo anche nel cinema con soggetto e sceneggiatura di un film danese del 1939 ambientato sempre tra i ghiacci eterni dal titolo Nordhavets mænd (Gli uomini del mare del nord). Dal poco che trovo sulla rete credo si tratti di un film per famiglie e quindi ha ben poco a vedere con Kjærlighetens kjøtere che è invece un film assolutamente lontano dall'essere conciliante.


E' curioso notare come certi film riescano a scomparire dalla faccia della terra. Eppure Kjærlighetens kjøtere non si può inserire nella vastità dei film che han goduto di poca distribuzione, poiché quantomeno è circolato in video sin dai tempi delle VHS col titolo Zero kelvin con il quale è certamente più semplice trovarne informazioni. Oltre tutto il suo regista non è questo totale sconosciuto vista comunque la sua discreta prolificità ed il sostanzioso budget di molte sue produzioni. Anche il suo sodalizio col grandissimo attore svedese Stellan Skarsgård, presente in ben tre film da lui diretti, basterebbe a dargli imperitura gloria. Al contrario sembra una perla da scoprire nella grande (pen)isola felice del cinema scandinavo: un dramma ispirato e alto ambientato nel freddo eterno nei primi anni dello scorso secolo2.


L'intimità maschile è il vero regno del film, non che sia una novità interrogarsi sul punto estremo al quale si può mai arrivare per amore, ma oggetti così eleganti secchi e asciutti sull'argomento è raro trovarne. Nel caso in oggetto poi si tratta di merce preziosa che si fregia di un'ottima scrittura ed una magniloquente realizzazione. Nulla come i ghiacci eterni del nord poteva rendere meglio come ambientazione, il teatro perfetto dove lasciar andare il pensiero, estendere la mente e cercare delle risposte alle proprie ansie. Da quando il giovane scrittore in cerca di ispirazione Larsen (Gard B. Eisvold)  sbarca in Groenlandia si capisce subito dai volti dei suoi due futuri compagni di caccia che il ghiaccio mette a dura prova le menti di chi vi abita. Non sono solo le evidente ferite fatte dal gelo sui loro volti a tradire la cosa, ma è tutta la gestualità nella caratterizzazione del silente scienziato Holm (Bjorn Sundquist) e del grezzissimo e cialtrone Randbæk (Stellan Skarsgård). L'ambiente e l'isolamento, dato che i cacciatori ad inizio Novecento vedevano altri esseri umani solo quando venivano a raccogliere la merce, li ha evidentemente forgiati, mentre il giovane Larsen è materia da plasmare.  Moland è bravo a far intuire subito come la storia ruoterà attorno al mutamento e al cambiamento di un giovane confuso.


Il clima che si instaura tra i tre è pesantissimo. E' proprio il buon Stellan ad essere il motore attorno al quale ruota tutto il film. L'ammissione è implicita anche nell'intervista al regista che confessa di aver dovuto mediare per avere vicino a questa grande presenza attoriale l'altra leggenda del cinema nordico Sundquist. E' proprio quando si trovano a confronto grandi interpreti che gli attori danno spesso il meglio di sé. L'interpretazione di Sundquist dello scienziato è infatti ottima, dotata di discrezione e funzionalità nei confronti della storia. Il personaggio stesso si tiene in buon ordine all'esterno nella dualità rappresentata da Larsen e Randbæk ed è proprio nel momento della sua assenza che si incrina totalmente l'equilibrio tra il vecchio cacciatore e il giovane scrittore come facilmente prevedibile sin dalle prime battute.


La rappresentazione a mo' di orco di Randbæk resa dal bravo attore svedese è di fatto notevole e raggiunge toni devianti e stranianti quando nel cercare di riconciliarsi con Larsen organizza una grottesca festa di Natale. Imbracato in una casacca cinese di seta rossa lo scopriamo viaggiatore verso l'oriente, dotato di facoltà divinatorie e visionario. A questo punto ci sarebbe da aprire una piccola parentesi sull'istinto da esploratori dell'antico popolo scandinavo, ma cerco di non dilungarmi citando di passaggio il fatto che sia costume proprio di quei luoghi partire in solitaria per l'altro capo del mondo così come vivere in totale isolamento per propria scelta. La cosa è dimostrata dalla loro ampia storia al riguardo che trova il picco nei racconti epici di esplorazione tipici di quelle terre, saghe miste di storia e mito come la Grœnlendinga saga, la Eiríks saga rauða e Vinland Sagas e nella glorificazione di viaggiatori eroici come Erik Thorvaldsson (Enrico il rosso) o  Leif Ericson. Questo per dire insomma quanto il viaggio, le condizioni estreme e l'eremitaggio siano vero e proprio humus per quelle genti dove, come vuol anche dimostrare il film, la misantropia e finanche la misoginia possono elevarsi a potenza infinita.


Non svelo nulla delle ragioni che hanno reso Randbæk sterile e cattivo, sempre pronto a vessare il giovane e a dirgli nella più rozza delle maniere quanto sia sbagliato amare una donna lontana un mare di distanza da lui ed inutile leggere la sua lettera d'addio che gli parla di una improbabile attesa. Lo scrittore intravede in Randbæk l'abisso oscuro dei suo stessi dubbi, della sua fragilità come maschio, il vivido rancore che potrebbe arrivare a provare un uomo tradito e la totale devastazione che può provocare la fine di un rapporto. La continua progressione della tensione tra i due sfocia nell'inevitabile disperato climax tra le nevi tutto virato in un blu crepuscolare e somma lode a Moland per aver reso in pellicola queste immagini. Non svelo neanche il finale, ma vorrei almeno citare il pianto di Larsen a giochi fatti e finiti, chiaro segno di resa verso Randbæk. Quel che voleva evitare fino alla fine diviene realtà, la sostituzione tra il perseguitato e il persecutore, tra il buono e il cattivo, tra l'eroe e il mostro da sconfiggere è conclamata. Il senso di inevitabilità reso è forte come un pugno allo stomaco e forse dovremmo piangere tutti per quanto possa essere misera la natura umana.

Scheda tecnica
Kjærlighetens kjøtere
Anno : 1995
Regia : Hans Petter Moland
Soggetto : Peter Tutein
Sceneggiatura: Lars Bill Lundholm & Hans Petter Moland
Cast :
Stellan Skarsgård -Randbæk
Gard B. Eidsvold - Henrik Larsen
Bjørn Sundquist - Jakob Holm
Camilla Martens - Gertrude
Paul-Ottar Haga - Ufficiale
Johannes Joner - Uomo della compagnia
Erik Øksnes - Capitano
Lars Andreas Larssen - Giudice
Juni Dahr
Johan Rabaeus
Frank Iversen
Tinkas Qorfiq - Jane

1. I trapper ovvero i cacciatori di pelli sono il centro del film. Per questo mi sento di sconsigliarlo a chiunque sia particolarmente sensibile ad immagini di animali morti.
2. Probabilmente l'adattamento è molto fedele al romanzo. I costumi che si vedono nelle poche scene non ambientate in Groenlandia sono per l'appunto di quel periodo e in un giornale uno dei protagonisti apprende degli ultimi giorni di vita di Lenin. In realtà il film non è stato girato nella grande isola danese del Mar del Nord, ma nella più piccola, anche se non meno fredda, Svalbard che è propriamente norvegese come il film.