sabato, novembre 13, 2010

La Maldición De La Llorona | Gli occhi cavi della strega

Qualche tempo fa avevo introdotto la figura della Llorona cercando di capire il ritorno continuo di questo spettro di donna ad infestare in varie incarnazioni tutta la cultura messicana tra libri, cinema e musica. Il sincretismo tra il puro fascino esercitato dal suo aspetto di donna avvenente e il suo utilizzo ad intenti moralistici nel folklore urbano ha fatto sì che la storia si sia diffusa in tutto il cono sudamericano e presenti caratteri simili ad altre leggende del globo. In realtà come ho cercato di evidenziare in più riprese la declinazione Messicana di questo archetipo è stata fortemente influenzata dalla storia coloniale e finanche dalla politica. Questo dettaglio non è trascurabile nemmeno quando si va a vedere un film come La Maldición De La Llorona. Sebbene la pellicola non abbia alcun intento politico, storico o simbolico e voglia semplicemente ricalcare gli stilemi del coevo cinema gotico europeo è singolare notare come i fattori citati abbiano infiltrato la congruenza con la verità. Quello che mi interessa come al solito non è fare una sterile critica del film, ma capirlo e arrivare al nocciolo della questione. Così come ad uno sprovveduto possa la leggenda stessa sembrare un rimescolamento di vecchie credenze sparse per il mondo oppure il concretizzarsi in narrazione di paure innate dell'uomo, per molti questa pellicola viene bollata come adattamento al suolo centroamericano di relative controparti europee. Ovviamente questa semplicistica interpretazione non mi sta affatto bene e per questo cercherò di scavare su un'opera non certamente imprescindibile, ma godibile ed a tutti gli effetti facente parte della storia cinematografica di quel paese.


Il film uscito anche sul mercato americano in un dvd ormai introvabile, per conto della mai troppo celebrata etichetta Casanegra col titolo di The Curse of the Crying Woman, nasce come vero e proprio tentativo di gotico sudamericano. Sebbene gli estimatori dell'horror messicano diano giusto risalto al carattere di unicità e al percorso culturale ben scisso dalla restante parte del globo degli autori locali, non si può negare che questo film sia in debito di qualche spunto con molto cinema coevo europeo. Non si tratta infatti dell'esempio più calzante della singolarità rappresentata dal cinema horror messicano, poiché mostra diversi punti di sovrapposizione con un classico del gotico nostrano. La rappresentazione della Llorona con cani al seguito, nero vestita che si aggira tra le nebbie, non può infatti essere casuale, così come la generale atmosfera fatta di nebbie e carrozze che sfrecciano nella notte sono abbastanza insolite per il cinema sudamericano.


Il riferimento diretto è con La Maschera del Demonio (1960), il classico diretto da Mario Bava, che più passa il tempo più si scopre quanto fu influente nelle cinematografie dell'orrore di tutti i paesi in cui fu distribuito. Singolare è anche il cortocircuito per il quale il sottoscritto se ne ritrova sempre a parlare visto che si ispira alla novella di Gogol di cui ho ampiamente parlato in più riprese su questo blog. Anche per questo motivo ho ritenuto giusto vederlo per intero, visto che la mia memoria lo aveva ormai seppellito talmente tanto in fondo da farmi sorgete il dubbio che non lo avessi mai visto. Ebbene alcuni tratti distintivi sono stati mutuati in maniera palese, a partire dal già citato look da dama in nero della Llorona (Rita Macedo), che è lo stesso di Barbara Steele nella pellicola di Bava, nonché dagli alani tenuti al guinzaglio da entrambi le attrici nella loro prima inquadratura. A questo si aggiunge anche il particolare, che mi aveva molto colpito nel film messicano, degli occhi cavi dello spettro. Questo dettaglio è presente in maniera significativa anche nella Maldición ed era probabilmente immagine1 di tale potenza da colpire anche il regista Messicano.


Il regista Rafael Baledón ha quindi prelevato alcuni elementi di un'altra cinematografia e ha cercato di declinarli secondo la proprio cultura. Questo processo di regionalizzazione del prodotto è più comune di quanto si pensi nella storia del cinema e nasce spesso proprio per supplire alle carenze del prodotto esportato nell'attecchire sul pubblico locale. E' chiaro che la Llorona che i messicani conoscono sin da bambini avrebbe certamente riscosso più successo in quei luoghi rispetto ad una strega della steppa russa diretta da un Italiano. Sarebbe anche ingiusto paragonare i due film, visto che il maestro nostrano è difficilmente eguagliabile a livello tecnico. I suoi proverbiali movimenti di macchina e i suoi ben noti esperimenti visivi in fotografia sono ormai bagaglio di tutto il cinema mondiale ed erano talmente all'avanguardia, che come noto la sua maestria fu riconosciuta con vergognoso ritardo dalle nostre parti. Sarebbe quindi ingiusto pretendere la luna dal pur bravo Baledón. Dotato di regia molto scolastica, ci regala infatti un film che è squisitamente vicino ai classici inglesi della Hammer pictures per teatralità dell'inquadratura e sfruttamento degli interni.


Ci si potrebbe chiedere allora cosa c'è di così messicano in questo che viene considerato a tutti gli effetti uno dei migliori classici del genere gotico. La risposta non è certo nella trama lineare che riguarda una maledizione di famiglia, comune a tante altre storie gotiche, con cui la povera Amalia (Rosita Arenas) deve fare i conti, ma è prima di tutto nella presenza stessa della Llorona. Come detto precedentemente non si può ignorare la storia della figura, perché in questo film il fantasma viene tranquillamente fuso con la figura della Malinche. Nel didascalico racconto che fa la posseduta zia Selma (Rita Macedo) viene mostrato il ritratto di una donna chiaramente Azteca ed appellata per l'appunto Doña Marina. Sintomatiche della visione tipica degli anni sessanta sono le parole pronunciate dalla Macedo:
“Era spaventosa perché desiderava il potere. Tutto sacrificò per conseguirlo. Disprezzò persino l’amore.”
Sono del tutto in linea col misto di fascinazione ed odio per una madre snaturata e sarebbe difficile comprendere cosa si voglia intendere, se non si fosse al corrente della storia. Si può quindi rinunciare alle fattezze estetiche tradizionali di spettro vestito di bianco, ma non alla sua natura più intima che è viva nell'educazione di ogni centroamericano. Non si può scindere la tragica storia dalla creatura, per quanto si possa mai insistere su caratteri estranei, non ultimo il tentativo di riportarla in vita con modalità analoghe di quelle della strega de La Maschera del Demonio, ovvero sottraendo la vita a giovani donne per una nuova reincarnazione.


Il film è poi tipicamente messicano anche nel fare un frullato speciale di tutto il cinema e la psychotronia a disposizione in quegli anni. Si buttino dentro al deserto messicano una villa gotica, ipnotismo fatto con bamboline Voodoo, un servo zoppo con la faccia sfigurata, interpretato dal grande Carlos López Moctezuma attore feticcio per i ruoli da cattivo, e non ultimo un mostro in soffitta dal meraviglioso trucco. All'appello manca solo qualche wrestler, ma ovviamente avrebbe inficiato la riuscita della pellicola e non si dica che i registi di questi film non fossero coscienti del fattore pop e ironico della loro presenza nelle pellicole. Tra gli interpreti sento di dover citare il bambacione Abel Salazar, abbonato a ruoli orrorifici in quegli anni e sul quale certamente tornerò, che interpreta il marito di Rosita Arenas, nonché in un breve ruolo Julissa nota popstar messicana ed apprezzata interprete di telenovelas, come per esempio una delle prime riduzioni di quel Cuore Selvaggio (Corazón salvaje), che impazzò nella versione degli anni 80 anche da noi.




Scheda tecnica
La maldición de la Llorona
Anno : 1963
Regia : Rafael Baledón
Sceneggiatura: Rafael Baledón, Fernando Galiana
Cast :
Rosa Arenas - Amelia
Abel Salazar - Jaime
Rita Macedo - Selma
Carlos López Moctezuma - Juan
Enrique Lucero - Dr. Daniel Jaramillo
Julissa - Passeggero femminile della carrozza (con il nome Julissa del Llano)
Roy Fletcher
Arturo Corona
Armando Acosta - Altro passeggero
Victorio Blanco 
Beatriz Bustamante - Strega


1. In realtà l'occhio cavo e la tortura degli occhi in sé sono un po' una ossessione Baviana e la cosa ritorna in tutto l'arco del film: da quando incominciano a riempirsi e pulsare di bianco mentre la strega cerca di ritornare in vita fino a quando per eliminare i vampirizzati è necessario trafiggergli gli occhi. Questi particolari mi colpiscono profondamente dato che nutro una profonda angoscia ogni volta che vengono presi di mira gli occhi nei film di paura. A seguire due catture dal film italiano, uscito anche in sudamerica con titolo La máscara del demonio, che dovrebbero dissipare ogni dubbio circa la presa in prestito di alcune idee nella pellicola messicana.



2. Al riguardo ho trovato alcune significative copertine realizzate dal grandissimo José Guadalupe Posada di una serie di libri di storia messicana per ragazzi scritti da Heriberto Frias. Di seguito ve ne sono un paio dedicati alla figura chiave della Malinche, ma anche un altro su un evento classico della storia del colonialismo ovvero la caduta e distruzione di Tenochtitlán (capitale dell'impero azteco) da parte degli invasori spagnoli, che fu preannunciata dalla comparsa di una donna vestita di bianco secondo i commentari dell'epoca,  che urlava disperata alla ricerca dei propri figli esattamente come la Llorona. Questo per sottolineare come la storiografia e la volontà politica del Messico nazione furono molto forti nel delineare la cultura a venire.