sabato, ottobre 23, 2010

Va' e vedi | I rottami dell'apocalisse

Certe volte ti senti inadeguato a parlare di certi film per diversi motivi. Può accadere che il film sia talmente stordente a livello visivo, quanto può accadere che lambisca quegli angoli oscuri di un senso che non pensavamo di possedere1. Questo è quello che si prova quando si arriva alla fine di un film come Va' e vedi: lo stomaco si annoda, tutto le parole si fermano nella gola senza possibilità di uscire e i tuoi occhi non possono che rimanere aperti sulla realtà. La sensazione penetra talmente tanti strati che risulta difficile anche capire i sintomi che determinano la malattia. Sei frastornato e non puoi negarlo e se vuoi negarlo allora il problema è tutto tuo, perché a quel punto vi sono due sole possibilità, forse non capisci o forse sei in malafede. Legittimamente ci si dovrebbe chiedere come si possa essere in malafede quando si tratta di guerra, ma preferirei lasciare alla riflessione di chi legge la risposta, che spesso è più semplice di quella comunemente data.

Sul film del 1985 c'è poco da dire che non sia già stato detto da persone decisamente più competenti di me. Si trova abbastanza facilmente nell'ottima edizione dvd a doppio disco Inglese ed è talvolta celebrato da chi ha masticato il buon cinema russo. Beneficiò anche di un adattamento italiano e credo si sia visto in notturna televisiva grazie a Enrico Ghezzi e Fuori Orario. Incomprensibile capire perché sia stato mutato nell'adattamento italiano il senso del titolo che è originariamente Idi i Smotri (Иди и смотри) ovvero Vieni e vedi; titolo di origine biblica che fa esplicito accenno ad alcuni versi dell'Apocalisse di San Giovanni e che dichiara programmaticamente la portata e l'ampiezza di ciò che si sta per andare a vedere. Effettivamente il film è quanto di più vicino si possa immaginare come manifestazione terrena dell'apocalisse, facilmente estensibile a tutte le altre simili apocalissi verificatesi nel mondo, nello spazio e nel tempo. Tutto come fosse solo un caso che quella dipinta nel film si sia verificata in Bielorussia al tempo della seconda guerra mondiale. Come se il giovane Florya (Aleksei Kravchenko) volontario nella resistenza russa all'occupazione tedesca sia solo incidentalmente sotto l'occhio della telecamera per tutta la sua odissea. Come se Glasha, la bella fanciulla interpretata da Olga Mironova, il comandante dei soldati o il paese in cui finisce alla ricerca di cibo siano solo variabili casuali nella sua discesa all'inferno. L'inevitabilità è fattore connaturato e immutabile legato a qualsiasi guerra probabilmente.


Non si sa nemmeno bene da dove partire, perché non è compito facile riuscire a mantenere la giusta distanza in certi casi. Si potrebbe per esempio iniziare a monte della questione. Si potrebbe notare come esistano sempre due diversi tipi di cinema di guerra prima di tutto; esiste un cinema di guerra fatto dagli invasori e un cinema di guerra fatto dagli invasi, ma esiste anche un cinema di guerra fatto dai vincenti ed esiste un cinema di guerra fatto dagli sconfitti e si potrebbe anche andare avanti per un po' con queste rappresentazioni antitetiche. Qualcuno potrebbe obiettare che sono schematiche, ma si potrebbe chiedere delle doverose spiegazioni su varie cose. A cominciare dal fatto che Va' e vedi sia un film poco celebrato, poco visto e conseguentemente poco discusso a differenza di altri.


Conoscono tutti quel capolavoro di Apocalypse now, ma anche tanti suoi epigoni. Si conoscono tanti esempi di cinema dove la guerra è uno stato alterato della mente, dove la follia collettiva viene anche resa vividamente, ma soprattutto esiste l'abitudine a confrontarsi esclusivamente con un modello fatto di eroi, antieroi e figure ben delineate. Si tratta di singoli individui che si muovono nello sfacelo della guerra, ma sembra sensato chiedersi se sia davvero questa l'unica prospettiva possibile. Senza alcuna polemica su vittoriosi - vinti, su quale cinema sia migliore,  sarebbe giusto le persone si interrogassero su quali siano gli altri punti di vista. E' giusto notare come sia legittimo, se esistono capolavori fatti dalla prospettiva dell'invasore\vittorioso, aspettarsi l'esistenza di qualcosa di notevole dall'altra parte dello steccato. Ebbene la caratteristica più importante di Va' e vedi è proprio la sua coralità, sta al cinema di guerra degli invasori\vittoriosi, che si annoda tipicamente attorno ai singoli, nelle stesse modalità con cui Albert Camus poneva La Peste come l'altra faccia de L'Étranger. Si trattava di un romanzo corale senza l'individuo al centro, bensì un'intera comunità che faceva da corpo narrante e quindi esattamente all'opposto del suo precedente capolavoro dell'esistenzialismo francese. L'accostamento è certamente estremo, ma quel che si vuole far passare è proprio il carattere di film plurale cui ci si trova di fronte: una pellicola sul dolore collettivo di una nazione, un film sulla memoria ed un monito politico sul futuro.


Sbaglia probabilmente chi lo ritiene un film pacifista, perché quantomeno non lo si può ritenere tale nei termini in cui viene tipicamente concepito qui ad occidente. Si faccia infatti caso a quante pellicole finiscano per trovare rifugio nel pietismo per arrivare al pacifismo, mentre Klimov pensa prevalentemente a battersi ferocemente contro l'idea che avvelenò l'Europa in quegli anni, quell'idea genocida che si portò dietro tante, troppe vittime. Doveva intitolarsi infatti Uccidi Hitler e la cosa è ben esplicitata dal regista stesso nelle interviste2, per cui non si vedono tutte quelle zone d'ombra che sembrano affliggere il recensore medio e c'è da chiedersi se non sia manifestazione del già citato difetto di comprensione verso certo cinema. Uccidere l'individuo è chiaro simbolismo dell'uccidere quell'idea ed il citato finale in cui Florya spara ad un ritratto del tedesco sembra alquanto semplice e lineare. Contano poco le elucubrazioni degli esegeti del cinema: spara Florya mentre scorrono immagini di repertorio montate all'inverso e la storia torna indietro ad ogni suo colpo, spara continuamente, ma si ferma quando davanti ai suoi occhi sbarrati c'è l'immagine del nemico da infante. Non credo bisogni andare alla radice della parola γένος (ghénos razza, stirpe) per rendere ancora più chiara quella sospensione con cui si chiude la scena, quello sguardo sbarrato verso l'orrore da parte del giovane 3.


Mi allontano ancora un po' dalla logica di una recensione, tanto questa non è una recensione e questo non è un blog di recensioni o almeno non voglio che lo sia. Ritorno a quando ero temporaneamente all'estero e capitava a volte che discorressi con un collega Bielorusso. I soliti scambi di battute sulle diverse mentalità, sul cibo, sul bere, sulle ragazze e poi inevitabilmente sui luoghi. A fronte del solito elenco di attrattive dell'Italia chiesi cosa ci fosse da vedere nella capitale Minsk.  La risposta fu che non c'era nulla o quasi da vedere, perché questa stessa guerra del film aveva cancellato buona parte della loro memoria storica e poco era stato ricostruito oltre il duomo della città. A volte la prospettiva si ribalta di colpo. Non amo molto la mia città, teatro di atroci massacri durante la seconda guerra mondiale essendo posta sulla linea Gustav, ma ho sempre stimato la sua storia e il suo carattere cupo.


A volte l'ho chiamata città dei morti, forse anche guidato da una fascinazione un po' troppo romantica, ed ho sempre perdonato e compreso la tristezza endemica, il carattere luttuoso sottolineato dai tre cimiteri monumentali alle vittime della guerra e quell'atmosfera grigia fatta di nebbie e piogge autunnali. Non ci sarebbe da stupirsi che vi fossero fantasmi disperatamente aggrappati ai cittadini di questa città o che facciano perennemente compagnia quando si cammina per queste strade. Nel sapere di Minsk e della Bielorussia in genere viene però da riflettere su molto altro, per esempio su ciò che è stato dimenticato ed eventualmente rimosso. Tutto o quasi tutto è stato ricostruito nel bene o nel male da queste parti, alla rimozione delle macerie è corrisposta rimozione di parte della memoria e si è ripreso a vivere. Per l'appunto è rimasto solo il commovente e romantico ricordo di quel dolore che fu nei racconti di chi l'ha vissuto. Certo il nostro cinema sulla guerra è tanto importante, offre grandi capolavori, è ben diverso, ha le sue ragioni storiche e sociali, ma anche noi siamo degli invasi e in finale degli sconfitti. Dovremmo avere i mezzi per decifrare quello che c'è in questo capolavoro, così come possiamo provarne il vivido dolore anche se abbiamo dimenticato. E' forse parte del carattere di questa nazione e della sua cultura, magari son stati anche il caso e gli accadimenti, comunque han concorso e hanno permesso di ricominciare ed essere più imbecilli di prima. Sembra difficile anche da condannare sotto certi punti di vista, perché se c'è una questione legittima è quella di chiedersi quanto dolore si possa sopportare.


E' possibile ricongiungersi con questo al film perché è proprio ciò sembra chiedersi Klimov: quanto si possa scavare nella sofferenza, quale possa essere il limite estremo dell'orrore, quanto possa mai essere imperfetto l'essere umano. A questo punto dispiace anche un po' perché alla fine si è parlato di tutto, ma ben poco del film stesso che merita assai a livello visivo. In senso tecnico stretto c'è ben poco da dire: è cinema sovietico allo stadio puro, rasenta la perfezione qualsiasi cosa dicano i suo detrattori. Le scelte visive disseminate lungo le oltre due ore di film sono eccezionali. In poche ore Florya passa dal sorriso smagliante del ragazzino che va in guerra col suo giocattolo4 (un fucile trovato nel fango) agli occhi sbarrati che non si chiudono mai sull'orrore. Pare addirittura che il giovane attore venisse ipnotizzato prima delle scene proprio per renderlo ancora più stravolto e disconnesso, così come pare siano stati usati veri proiettili in molte scene e sorge anche il sospetto che il povero bovino ucciso ad un certo punto sia morto sul serio.


Non ha nemmeno senso elencare tutte le trovate visive di Klimov. Piuttosto direi qualcosa sulla struttura del film. Si è già detto come non vi sia un vero protagonista sebbene la camera segua sempre il cammino di Florya tra casa e fronte. Piuttosto lo sguardo del giovane è lo sguardo dello spettatore su quello che sta accadendo. Sono distinguibili due tronconi: uno in cui il giovane si unisce alla resistenza, ma al primo attacco cerca di rientrare a casa senza trovare più nessuno, l'altro in cui per andare a reperire viveri finisce in un villaggio occupato da tedeschi in cui si scatenerà il peggio. Lo "spettacolo" della guerra è disgustosamente reso, senza raggiungere il dettaglio nella rappresentazione, ma utilizzando una meccanica narrativa frutto di un lavoro di scrittura minuzioso. Un vero e proprio manuale di "linguaggio" cinematografico in cui vengono narrate cose senza mostrarle in maniera piatta e volgare5. Il giovane soldato transita sempre più in una dimensione onirica che non è resa in maniera poi tanto distante dai capolavori grafici di altri registi, nonché illustrata elegantemente con l'ausilio di ampi piano sequenza tra alberi e case.


Chiudo qua, perché ribadisco il mio senso di inadeguatezza a parlare di questo film. In fondo era proprio quello che volevo comunicare: l'urto a cui ci si sottopone nel vedere il capolavoro di Klimov. Non mi meraviglia affatto che dopo questa opera il regista non abbia più sentito l'esigenza di girare altro come da lui stesso ammesso. Vi lascio al trailer che restituisce in parte l'atmosfera del film.




Scheda tecnica
Va' e vedi
Anno : 1985
Regia : Elem Klimov
Soggetto : Ales Adamovich
Sceneggiatura: Ales Adamovich & Elem Klimov
Cast :
Aleksey Kravchenko - Florya Gaishun
Olga Mironova - Glasha
Liubomiras Lauciavicius
Vladas Bagdonas
Jüri Lumiste
Viktor Lorents
Kazimir Rabetsky
Yevgeni Tilicheyev
Aleksandr Berda
G. Velts
V. Vasilyev
Igor Gnevashev
Vasili Domrachyov
G. Yelkin


1. Sì, è una citazione dei Joy Division.
2. L'intervista completa sul film è stata messa online  in tre parti (12 e 3) da un benefattore.
3. Precedentemente la cosa è anche esplicitata quando i Russi chiedono ad un Tedesco le ragioni per cui ha ucciso i bambini, ma salvato alcuni adulti. Le sue parole farneticanti riguardano il fatto che con i bambini tutto sarebbe ricominciato, ci sarebbe stata speranza di sopravvivenza della genia russa.
4. Citerei la scena in cui Florya torna a recuperare il suo fucile col manico rotto da una pallottola e da cui si era separato precedentemente. Come fosse un cucciolo ferito lo benda con tanto di garza e lo porta via con sé.
5. Al riguardo mi viene in mente l'esempio di Salvate il soldato Ryan in cui l'effetto trucido e gore la fa da padrone per rendere l'idea dell'orrore della guerra. Avrei tanta voglia di parlare del "linguaggio" di rappresentazione, ma ora non mi sembra il momento giusto.